di Shisha
Arriva, ineluttabile, l’appuntamento stagionale con l’armadio. Anche se faccio di tutto per procrastinare, anche se tengo duro girando per settimane con due o tre straccetti che più o meno si adattano alla temperatura esterna, presto o tardi suona la resa: bisogna ritirare abitini balneari e golfini di cotone.
Operazione resa ancora più ardua dal clima bislacco. La vulgata sostiene che non ci sono più le mezze stagioni, ma io azzarderei oltre: le stagioni sono diventate un enigma, una sciarada, una previsione da leggere nelle foglie del tè. Dai sandali agli stivali e poi di nuovo ai sandali.
Una volta (sono vecchia abbastanza da ricordare quei tempi remoti) esisteva il guardaroba “di mezzo”: soprabito in lanetta (così si diceva), scarpe da mezza stagione e via così. Roba scomparsa: si passa, come dicevo, dalle spalline al maglione.
Questo drastico aut -aut rende delicata la scelta del momento in cui agire: la mattina fa freddo, ma nel corso della giornata ci si spoglia e si va in giro con un fascio di indumenti sotto il braccio (possibilmente, con la sciarpa che spazza i marciapiedi). Ma bisogna agire senza incertezze e tentennamenti. Anche perché è difficile farlo in due tempi, lasciando contemporaneamente a tiro l’estivo e l’invernale. E anche perché sottoporsi per più volte all’improba fatica è masochismo puro. Perciò un bel giorno do il giro a tutto. Il ripristino dell’ora solare mi pare un segnale inequivocabile, come l’alzarsi in volo degli stormi dei migratori. E comincio una litania di imprecazioni. Devo avere una tara genetica, un buco cromosomico che mi rende del tutto incapace a gestire il guardaroba con un minimo di organizzazione. Perciò procedo senza metodo, con una furia prometeica. Rovescio il contenuto delle apposite scatole, che contengono l’invernale, e comincio a riempirle con l’estivo, cercando, all’inizio, di tenere separati i generi spiaggia e città. Ma perdo subito la pazienza e mescolo tutto. Le felpe si dicono «arrivederci all’anno prossimo» prima di nascondersi in scatole diverse. La roba stirata si ritrova appallottolata per riempire i buchi. So già che a primavera sconterò la mia negligenza.
Fase due: la disamina critica dei capi invernali emersi dalle scatole. Forse c’è qualcosa che non mi piace più, che non metterò più. Idealmente e materialmente, divido per categorie:
- le cose che amo a prescindere da quanto sono vecchie e che indosserò anche oltre il loro decente stato di conservazione;
- le cose che mi piacciono perché sono pratiche, o eleganti, o facilmente abbinabili eccetera;
- le cose che mi hanno stancata, che sono troppo larghe o troppo strette, troppo corte o troppo lunghe e che già lo scorso anno sono uscite dalla scatola e vi sono rientrate senza che le abbia prese in considerazione.
Quest’ultima categorie, però non ha confini così netti. Sarebbe facile: prendere ed eliminare. Sarebbe il momento di farlo, così smettono di fare massa, di fare scatola. E invece no. Perché ciascun maglioncino deve essere guardato con occhio critico ma benevolo. Bisogna capire se non è il caso di dargli un’altra possibilità e questo richiede tempo e attenzione. Indovinate? Rinvio l’operazione a primavera e ammucchio tutto sui ripiani. So già che ci sono molte cose che non metterò, ma così è la vita.L’operazione mi lascia esausta e insoddisfatta. Mentalmente mi dico che a primavera farò un gran lavoro, che adesso non avevo tempo (lo dico a ogni cambio di stagione). Lancio il richiamo di Jane a Tarzan: serve la bruta forza maschile per salire sulla scala sollevando le scatole con l’estivo per piazzarle ai piani alti, fuori dalla vista. Sospiro di sollievo. Occhio non vede…