di Mimmi Biondo
Ho fatto le elementari in un’epoca molto remota. Pur tuttavia, esisteva già la televisione e i confini nazionali erano da tempo quelli attuali. Evidentemente, però, l’aggiornamento di maestre e sussidiari era particolarmente lento.
Ricordo perfettamente che mi è stato insegnato che, tra le meraviglie della natura in Italia, dovevano elencarsi le Grotte di Castellana e le Grotte di Postumia (quelle di Frasassi ancora non erano aperte al pubblico). Già. Ma le Grotte di Postumia, fin d’allora, si trovavano nel territorio della Slovenia, ossia, all’epoca, in Jugoslavia. Questo per spiegare l’effetto di ricordo d’infanzia che Postumia mi suscitava e il motivo per il quale, andando in macchina da Trieste a Lubiana, non ho potuto esimermi dal fare una piccola deviazione per visitare le (per me) mitiche Grotte di Postumia (Postojnska).
Sia ben chiaro, se la maestra non era aggiornata sui cambiamenti dei confini, però non aveva torto sulla magnificenza delle grotte: sono sterminate, hanno cavità immense, tanto che sono le più visitate d’Europa e sono le uniche percorse da
un trenino, sia pure a scartamento ridotto.
Per il resto, le grotte sono tutte una variazione sul tema stalattiti, stalagmiti, colonne, cavità. Variamente denominate per solleticare la fantasia del turista.
Tutte queste concrezioni calcaree mi ingenerano sempre un senso di sbigottimento al pensiero delle decine di migliaia di anni che sono stati necessari alla loro creazione. Al tempo necessario al carbonato di calcio trasportato dalle gocce per trasformarsi in pietra, periodo inconcepibile se paragonato alla velocità con la quale il calcio si deposita sui sanitari di casa nostra.
Quello che mi ha divertito di più, però, è l’organizzazione turistica che ruota intorno alle grotte (e solo perché sono andata in un giorno infrasettimanale di inizio estate e la ressa era limitata all’occupazione di un 15% della capienza del parcheggio). Tra il parcheggio e l’ingresso alle grotte è sorto una specie di Luna Park di negozi che vendono le merci più improbabili, ristoranti di ogni genere, bar e chi più ne ha più ne metta. L’ingresso alle grotte è un edificio del 1928, costruito nella breve parentesi di italianità del territorio, che reca la scritta altisonante “immensum ad antrum aditus”, nel quale si distribuiscono pastrani per coloro che temono la temperatura interna di circa 8°. Vestiti, quindi, come fanti della Grande Guerra, si deve prendere posto all’interno del primo immenso antro al di sotto di una scritta al neon corrispondente alla vostra lingua madre, in attesa della guida che parla italiano, con la quale si sale sul citato trenino
e via per una lunghissima pletora di caverne... La nostra gita sotterranea ha ricavato un plus valore dalla circostanza che la scarsità di italiani, contrapposta all’abbondanza di giapponesi, ci ha portati sul trenino insieme a un gruppone di questi ultimi, in quanto accompagnati da una guida che capiva l’italiano (e mi piace credere che, quel che non capiva, se lo inventava). Sono stati uno spettacolo nello spettacolo: gridolini, esclamazioni, urletti e un’infinita quantità di flash, rigorosamente vietati, in quanto deteriorano i microorganismi presenti e fanno mutare il colore delle concrezioni.
Poiché i cartelli turistici per me rappresentano un diktat, non ho potuto mancare neppure il castello di Predjama, a soli 10 km. Ve lo consiglio. Per restare in tema di grotte, si tratta di una costruzione risalente al XIII secolo, incastonata nella roccia, in posizione apparentemente imprendibile, comunicante con le caverne della montagna su cui poggia. Particolare, bello. Vale i chilometri in più, insieme all’albero pluricentenario nella piazzetta antistante.